In passato il risparmio finanziava attività concrete, aziende, produzione e posti di lavoro, oggi s’investe sul nulla, sull’andamento di un tasso d’interesse o sui debiti della gente
di MAURO DAVID
Prima c’era la Banca, il santuario deputato alla raccolta dei risparmi. Gli italiani, tradizionalmente risparmiosi, vi si recavano a depositare il prodotto delle piccole economie mensili, spesso intimoriti dal silenzioso lusso delle grandi sedi.
Mi riferisco al decennio a cavallo tra il ’75 e l’85, periodo in cui il sistema bancario svolgeva ancora prevalentemente la sana funzione di intermediazione, convogliando il risparmio raccolto verso le attività produttive di questo paese.
Pochi gli strumenti messi a disposizione del risparmiatore: libretto di risparmio, titoli di stato, obbligazioni dei grandi enti; al massimo qualche “pronti contro termine” per i clienti più facoltosi.
Insomma, un paradiso di certezze e di stabilità: il risparmio delle famiglie contribuiva alla crescita del sistema industriale finanziando le iniziative imprenditoriali, mentre la Banca d’Italia sorvegliava rigidamente sugli equilibri impedendo ogni forma di espansione territoriale. Vacche grasse per i banchieri, che prosperavano, al riparo da ogni concorrenza, nelle cristallizzate rendite di posizione e tempi d’oro per i bancari. Quest’ultimi, avvantaggiati dalla “scala mobile anomala” che gonfiava la busta paga, rappresentavano la categoria più invidiata; nessun budget da raggiungere, poco stress e poche le competenze professionali richieste, per lo più contabili-esecutive.
Prima c’era la Banca, poi giunse in Italia la concorrenza.
Nel 1975 la Banca d’Italia varò la sua politica di liberalizzazione. Con il terzo Piano Sportelli la rete distributiva del sistema bancario italiano si ampliò di oltre il 45% (tra il 1990 e il 1995). Non passò molto tempo che anche le banche straniere fecero il loro ingresso in Italia.
Rapidamente la competizione divenne rovente. Nelle strutture centrali nacquero uffici specializzati nello studio e nella vendita di nuovi prodotti. Lentamente il marketing, termine ricorrente nell’industria, iniziò ad insinuarsi anche in banca.
Era sul finire degli anni ’80 e ricordo ancora il mio amico Maurizio Buonomo, responsabile marketing dell’Associazione Bancaria Italiana, prodigarsi per fornire alle associate gli strumenti necessari ad affrontare il nuovo corso; seminari, convegni, pubblicazioni.
Chi, come il sottoscritto, si occupava di comunicazione aziendale fu costretto a correre ai ripari progettando inediti interventi di formazione del personale (altra attività sconosciuta in banca): orientamento al cliente, psicologia di vendita, prodotti e servizi…. tutto all’ombra del grande guru americano Philip Kotler, pioniere del marketing sociale.
Un periodo denso di cambiamenti in cui anche il lessico utilizzato subì le sue trasformazioni: l’utente bancario divenne “cliente”, mentre l’impiegato si trasformò in una “risorsa umana”. Il lavoro svolto in termini di comunicazione, affinché la risorsa umana abbandonasse la tradizionale cultura della “quadratura di cassa”, per assurgere al ruolo più nobile di facilitatore della soddisfazione dei bisogni del cliente, è testimoniato dai programmi di formazione che giacciono nei polverosi archivi delle banche.
La fidelizzazione del cliente era lo scopo autentico e sincero, ma il raggiungimento di questo traguardo era subordinato alla capacità dell’operatore bancario di individuare e dare soddisfazione ai bisogni concreti del suo interlocutore; la manipolazione dell’informazione, finalizzata alla vendita, era bandita dai nostri interventi. E non solo per un atteggiamento etico, ma anche perché fermamente convinti che un cliente “fregato” non sarebbe stato un cliente fedele.
Oggi la storia è diversa. Il panorama dei prodotti è vasto e a volte sconosciuto all’operatore bancario che ne possiede solo una conoscenza superficiale. E’ così che il risparmiatore si trova ad investire, direttamente o indirettamente, in futures, in financial futures, in currency futures, derivati, ecc.
Cosa sono? Il cliente sa in cosa mette i suoi soldi? Si, certo… ci sono i prospetti informativi che vanno consegnati prima della firma del contratto, ma quanti hanno le competenze per comprendere le informazioni fornite?
Ma la storia è diversa anche per l’atteggiamento delle banche. Azionisti ossessionati dal guadagno, personale non sufficientemente formato, al limite del collasso psico-fisico per gli ambiziosi obiettivi di vendita che vengono assegnati. Risorse umane confuse tra pressioni, minacce e premi d’incentivazione. Ho assistito a corsi di formazione di Team Building in cui venivano proposte esperienze di fachirismo, stendersi sui vetri o camminare sul fuoco; ho visto gli occhi spiritati di chi accettava di cimentarsi in quelle attività estreme. Rari casi di formazione delle risorse umane? Probabilmente si, ma esiste anche questo.
Questa mattina ho ascoltato alla radio l’intervento di una dipendente di banca che manifestava la sua preoccupazione per l’incontro imminente con alcuni clienti: “hanno perso tutto, adesso cosa gli dico?”. Come farà a spiegare che li ha indotti ad investire su di una famiglia americana, economicamente malandata e priva di assistenza sanitaria? Una scommessa.
Negli anni la formica diventa cicala. Si, perché se in passato il risparmio finanziava attività concrete, aziende, produzione e posti di lavoro, oggi s’investe sul nulla, sull’andamento di un tasso d’interesse o sui debiti della gente; il private banking è ormai un’attività da “sala bingo” in cui l’avidità detta le sue leggi. Regole peraltro condivise da tutti i giocatori: dal venditore che, pur di raggiungere il budget, camminerebbe sulle braci; dall’investitore che disprezza la sicurezza dei BOT per abbracciare l’effimera promessa di un guadagno maggiore.
Chi è più mariuolo? Chi cerca un Rolex autentico ad un prezzo da bancarella o chi rifila la patacca?
Prima c'era la banca, poi la concorrenza ed infine la TV berlusconiana
Il Papa ha detto: “I soldi scompaiono, solo la parola di Dio è solida”. Se sostituiamo la parola “Dio” con “etica dell’esistenza” e “senso della realtà”, per una volta, sono d’accordo con lui. La formica diventa cicala quando è sistematicamente influenzata dai media che propongono modelli esistenziali riprovevoli, sia sul piano etico che su quello “pratico”. Troppa passerella di gente insignificante, priva dello spessore e delle autentiche competenze legate al fare, al costruire. Troppi guadagni facili esibiti.
Riferendoci all’industria dell’intrattenimento, quanto costa alla Rai la realizzazione di una serie dell’Isola dei Famosi? Qualche milione di euro per esibire al grande pubblico il lati nevrotici di ex famosi in bancarotta o in cerca di una nuova visibilità; il vuoto, il nulla. Tra un’isterica crisi di pianto e una discussione mediocre, irrompe la pubblicità che invita all’acquisto del SUV potente e aggressivo: compra oggi e paghi domani in comode rate. Si torna sull’Isola, corpi seminudi tenuti insieme da costose protesi al silicone, altre manifestazioni di primitività, altro spot pubblicitario in cui il faccione sorridente di Berlusconi promette ricchezza e libertà.
Pessimo intervento educativo, è così che la formica diventa cicala. La famiglia con un reddito da 2/3 mila euro al mese, una volta risparmiatrice e con i “piedi per terra”, ora va in giro con il SUV e disprezza i BOT (non sono a la page); si crede benestante. La cicala moderna ha appoggiato il taglio dell’ICI anche per i ricchi, ma non è ricca. E’ favorevole alla scuola privata pensando di rincorrere l’eccellenza, ma ignora che probabilmente finirà tra le mani incompetenti di qualche “suorina”. Senza il gettito ICI, Alemanno ha sospeso i finanziamenti ad alcune scuole professionali, parliamo di parrucchieri.
Ora la cicala non sa come pagare le rate, è spaventata dalla crisi finanziaria, non ha nemmeno la possibilità d’imparare il mestiere di parrucchiere, e presto sarà confusa perché non saprà nemmeno in quale classe sociale riconoscersi. Ma niente paura, ci penseranno la Social Card di Tremonti, la sanità e la scuola per i poveri ad indicare il posto assegnato.
Le borse crollano, Berlusconi compra una nuova villa sul lago, l’impiegata di banca non sa cosa dire ai suoi clienti. Forse e solo l’inizio, per giunta…