14 gennaio 2007

Statali e mobilità. Atto secondo.

Segue qui, per ragioni di spazio, il primo post sull'argomento

di Mauro David

Riformare la burocrazia: mobilità anche per gli statali”, cos’è questo scritto?

Una pagina reazionaria redatta da un fobico maschilista, terrorizzato dalla crescente pretesa femminile di eguaglianza e parità di diritti?

Evidentemente no. Se così fosse avrei maledetto il giorno della nascita di Fourier, che dopo aver coniato il termine femminisme, sostenne l’orrenda idea che il progresso sociale di un popolo è direttamente proporzionale ai diritti civili goduti dalle donne. Avrei rimesso in discussione l’opera di Simone de Beauvoir, irriso quella di Luce Irigaray, saccheggiato la memoria di Rosa Luxemburg…
Bene, rileggo il testo, ma non trovo alcun riferimento. Quindi, se lo scritto non è questa cosa qui.. cos’è?

Forse, è il manifesto pubblico di un leghista del Varesotto? Leghista e per di più imprenditore che, al grido di “Roma ladrona”, vorrebbe tutti i ministeriali precarizzati? Magari… iniziando proprio dalle donne? Rileggo. No, direi proprio di no…

Forse, è un manualetto di gestione delle risorse umane, con un’appendice sulle conoscenze basilari dei processi organizzativi. Vediamo… no, nemmeno questo. Infatti, non spiego le distinzioni tra la mobilità professionale, quella geografica e quella interna. Non parlo di processi di riconversione, o di learning organization, o di knowledge management. Non argomento sulle teorie motivazionali di Maslow, non cito Max Weber o Frederick Taylor e, soprattutto, sto ben lontano dall’invocare il ritorno della catena di montaggio.

Allora cos’è?

E’ uno spazio d’informazione che tratta del ruolo del sindacato nella pubblica amministrazione? Un dettagliato resoconto giornalistico sulle dichiarazioni di un leader sindacale?
Beh, non direi. In questo caso avrei inserito per intero l’intervista, richiamando, magari, anche la dichiarazione rilasciata il 5 dicembre da Epifani in occasione dei 50 anni di Rassegna Sindacale: “produttività ed efficienza, qualità e formazione”, quattro concetti caposaldo da includere a suo parere nel memorandum per la riforma della pubblica amministrazione e per il rinnovo dei contratti.

Avrei infarcito di dati quel “non è vero che in Italia ci sia un eccesso di dipendenti pubblici”. Cifre a sostegno della veridicità dell’affermazione; ecco la media di dipendenti pubblici ogni 1.000 abitanti: 54 in Italia, 54 in Germania, 53 in Spagna, 79 in Francia. Quindi è vero, siamo nella media europea, se non addirittura leggermente sotto.

E a proposito di quest’ultimo argomento… vediamo, ho scritto il contrario?
Ah, ho scritto che quattro milioni di dipendenti sono tanti. Ma “tanti” è diverso da “troppi”. Il “troppi” si potrebbe riferire alla congruità numerica dei dipendenti rispetto alla qualità del servizio erogato. Il “tanti”, invece, all’impatto emotivo che un cambiamento può produrre. “Rompere le scatole” a qualche migliaio di farmacisti è ben diverso dal romperle a quattro milioni di statali.

Bene, a questo punto tiriamo le somme. “Riformare la burocrazia: mobilità anche per gli statali”, non è lo scritto di un fallocrate maschilista, non è nemmeno lo slogan di un leghista, non è un trattato di organizzazione aziendale e non è il resoconto ufficiale delle dichiarazioni di un leader sindacale (tra l’altro, come la signora Paola ha commentato, questo luogo è un blog dove si fa opinione e non informazione).

Allora, cos’è?

Probabilmente è tutto quello che ciascun lettore ci mette: emozioni, cultura, percezione dell’esistenza e interessi personali. Nel leggere i commenti, le modalità di approccio al problema vero (l’inefficienza dello Stato), rivelano le attese e le paure, diversissime tra loro, che appartengono a questo Paese e alle persone che lo abitano.

Questo scritto è un grido, anzi..no, un flato. No, meglio definirlo un rigurgito di preoccupazione per le condizioni di salute dello Stato e dell’apparato che lo tiene insieme.

Già, lo Stato…

Ma parliamo di quella entità tangibile che assicura democrazia, libertà e uguaglianza ai suoi cittadini? Stessi diritti alla salute e all’istruzione? E’ quella cosa lì?

Si, è quella cosa lì. E purtroppo il nostro Stato è alla canna del gas. E mentre il malato muore l’equipe medica discute sul colore delle divise da sala operatoria e sul modo d’indossarle.

Questo è l’argomento centrale di questo blog e il perno su cui gira la riflessione è il libro di Ichino: I nullafacenti. Per chi non lo avesse letto cito brevemente la quarta di copertina:
Mentre si nega per ragioni di bilancio un trattamento decente a centinaia di migliaia di giovani precari che lavorano per lo Stato in un regime di vero e proprio apartheid, perché nessuno propone di incominciare a tagliare l’odiosa rendita parassitaria dei nullafacenti?”

Il signor Giancarlo, nel suo prezioso intervento, sollecita la massima attenzione nello stabilire le priorità, “ragioniamo conti alla mano e non per istinto”, sono d’accordo.

Ragionando con i conti, il danno fatto alla collettività, altro nome non trascurabile dello Stato, dall’inefficienza delle sue strutture ma anche dei suoi dipendenti a tutti i livelli (da chi non controlla che i lavori vengano eseguiti, a chi lucra sui materiali, a chi materialmente non li esegue pur essendo tutti pagati per questo) è incalcolabile.

Danni economici, per denari spesi tre, quattro anche cinque volte in cambio di nulla.
Danni alle persone, per malattie non curate, disabili non assistiti, anziani abbandonati.
Parliamo anche di retribuzione, per esempio, bassa in maniera vergognosa. Dell’odioso patto fra lo Stato e i suoi dipendenti che recita, all’incirca: “Ti pago poco, ma tanto, non devi fare quasi nulla“

Nello Stato, qualcuno deve fare ciò che deve essere fatto per lo stipendio che prende, che deve e che può essere migliorato. Ma il suo risultato deve essere controllato, premiato o punito.

E allora, è possibile riflettere su questa ipotesi? E farlo con la consapevolezza che “licenziare” non essendo, ovviamente, l’unica soluzione, è comunque una delle azioni del necessario cambiamento che la pubblica amministrazione dovrà affrontare per sopravvivere?

Quale cambiamento?

Modelli organizzativi, procedure di selezione, sistemi premianti, formazione… certo. Ma, il primo passo verso la “rivoluzione”, che “non è un pranzo di gala”, sta proprio nella “Questione morale”. Il tema così caro a quell’uomo onesto di Enrico Berlinguer. Serietà e rigore quando si parla della Cosa pubblica.

La lotta alle cosiddette rendite di posizione non merita indulgenza. E se questo approccio è ammesso per i notai o altre categorie professionali, a maggior ragione, trattandosi della Cosa pubblica, deve essere severo nei confronti dei presunti nullafacenti (a prescindere da chi siano, direttori generali che non controllano l’attività come dovrebbero o portantini che fumano in cortile invece di lavorare, e non certo nella pausa).

Che cosa rispondiamo alla precaria costretta a perdere ore di lavoro perché “i risultati delle analisi cliniche possono essere ritirati solo dalle ore 11,00 alle ore 12,00”?

Bene, ragionando “conti alla mano e non per istinto”, potremmo rispondere che il numero degli statali in Italia è nella media europea. Che dite, può funzionare?

Sono portato a pensare di no. Magari la povera precaria, mentre elabora la frustrazione, osserva il traffico di buste della spesa all’entrata dell’ambulatorio pubblico. E’ incredibile pensare a quanto l’inefficienza della burocrazia sia arrogante nell’esercizio del suo potere, non bada a salvare nemmeno forma ed apparenza.

E allora… qual’è la percezione che investe la nostra precaria? Quali sono le sue emozioni al riguardo? La sintesi sta negli slogan berlusconiani: colpa nella sinistra garantista, dei sindacati, ecc..

E cosa farà la nostra precaria nella solitudine della cabina elettorale?

Le mie convinzioni esistenziali e politiche sono state influenzate in famiglia, da due presenze in particolare, due persone, partigiani durante la Resistenza, sindacalisti dopo. Credo nel principio della “Res publica”, ovvero che lo Stato sia veramente “cosa di tutti” e non privilegio di pochi.

Non sono un sindacalista, ma il mio lavoro mi ha sempre portato a sedere dall’altra parte del tavolo delle trattative sindacali.

Il Sindacato organizza i lavoratori per proteggere i loro diritti. Diritto al rispetto dello Statuto dei lavoratori, alla contrattazione con il datore di lavoro per orari, ferie e altro, ma anche, esattamente nello stesso senso, diritto a ricevere i servizi che gli stessi lavoratori pagano attraverso le tasse.

Il Sindacato da più di cento anni, con i sacrifici, le lacrime e il sangue dei lavoratori, ha tolto dal lavoro i minori e gli anziani, si è occupato della nocività e dei livelli di usura delle attività lavorative e, allo stesso modo, deve garantire a chi non ha sinecure, prebende, protezioni e raccomandazioni, l’accesso alla Sanità, alla Scuola, a una vita migliore.

Questo diritto passa, ora, per la possibilità di controllare l’efficienza dei dipendenti statali che sono gli intermediari fra il Parlamento, liberamente eletto dal popolo, che legifera e decide come reinvestire le tasse, e il popolo stesso, che di questo reinvestimento deve godere compiutamente.

Di questioni pratiche è necessario occuparsi, eludere i problemi facendone una questione di forma, annega questo paese in un immobilismo che lo condanna all’arretratezza. Di coraggio, abbiamo bisogno, non di fumo!

Il Sindacato di uno Stato democratico (mi piacerebbe dire socialdemocratico, nel suo senso più nobile) è a tutti gli effetti una forza di governo, con le stesse responsabilità del Parlamento.

La vita, il lavoro e i diritti dei cittadini dipendono dalla nostra capacità collettiva di gestione. Dare l’idea che quello dell’inefficienza dello Stato sia un problema fra chi attacca i diritti dei lavoratori e chi li difende, è rendere un cattivo servizio a questo Paese.

Altri Post sull'argomento:
Riformare la burocrazia: mobilità per gli statali
I Nullafacenti

4 commenti:

Anonimo ha detto...

Ho letto con attenzione i commenti del precedente post. Debbo riconoscere che David ha ragione. Capisco lo sfogo della signora "Anonima", il precariato va sconfitto. Non tutti sono "nullafacenti" nello Stato, ma se per ognuno di questi che "va a casa" venisse assunto un giovane sicuramente risparmieremmo e non solo per un semplice conto economico, ma risparmieremmo perchè i servizi pubblici sarebbero migliori. In merito all'intervento del sindacalista, mi dispiace ma non credo che sia giusto commentare in quel modo. E' vero che i dieci miliardi di buco della sanità laziale non dipendono dal portantino che fuma nella pausa, ma è anche vero che il portantino "fuma" anche quando non è nella pausa, come "fuma" il suo dirigente. In ogni caso non credo sia buon sindacalismo rimandare le colpe di uno stato di fatto ad altri. Succede sempre così in Italia quando qualcuno viene nel tuo giardinetto. Ma così i problemi non si risolvono.
Un saluto
Franco

Anonimo ha detto...

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STIPENDI DA FAME NELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE!
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Come risolvere il problema salariale?
Dove reperire i fondi per equiparare la retribuzione del pubblico impiego alla busta paga dei travet "europei"?

Siamo sì entrati in Europa, ma lo stipendio di un impiegato ed il suo potere d’acquisto è stato dimezzato dall'entrata in vigore dell'EURO!

* Un pubblico dipendente che prima guadagnava 2.400.000 LIRE, oggi percepisce una busta paga di 1.200 Euro!

* Un chilo di pane che prima costava appena 500 LIRE, oggi costa 3 EURO!

Con l'EURO si è registrato un caro prezzi incontrollato, ingiustificato ed in continua escalation: il costo della vita è raddoppiato se non triplicato o addirittura quadruplicato, come in moltissimi casi!

Alcune categorie, quelle delle "buste paga", si sono impoverite, ma "altre" si sono arricchite!

Non se ne può davvero più!

I rinnovi contrattuali - proposti dalle organizzazioni sindacali di concerto con i vari governi che di volta in volta si susseguono alla guida del Paese - sono a dir poco "ridicoli"!

Aiutaci a mettere a punto i 15 punti del nostro programma!

Basta subire! ...sù la testa!

SOSTIENI ANCHE TU LA NOSTRA BATTAGLIA SU : http://statali.blogspot.comgspot.com

Anonimo ha detto...

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POLITICI PIU' RICCHI D'EUROPA E... STIPENDI DA FAME PER OPERAI E IMPIEGATI: è questa l'Italia che vuoi?
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E' tempo di abolire gli "onorevoli" stipendi!

E' tempo di abolire i faraonici assegni mensili dei dirigenti statali che non "sanno" dirigere proprio un bel nulla!

E' tempo di abolire le disuguaglianze di trattamento economico nell'ambito della pubblica amministrazione!

Ci sono impiegati dello stato che a parità di qualifica percepiscono stipendi con escursioni economiche che vanno dai 300euro ai 3.000euro al mese, dettate soltanto dalla... sede di servizio!

E' UNA VERGOGNA!!!!!

Il 13 dicembre 2007 è stata presentata alla Camera, dai parlamentari della maggioranza, la proposta di legge n° 3306: un provvedimento che riguardava "l'introduzione di un limite massimo per le retribuzioni dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, dei magistrati e per il trattamento economico dei parlamentari nazionali ed europei"!

Il PD ha ignorato questo atto parlamentare, quando poteva approvarlo, ricordandosene solo in campagna elettorale!

...ma come si poteva pretendere un tale impegno da chi è indaffarato ogni mese a disfarsi di un extra di 5mila euro!

Caro Valter, gli italiani sono felici di sapere che la "tua" beneficenza (i nostri soldi!!!) finisca in... Africa!

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Anonimo ha detto...

"BUON ANNO A TUTTI... meno che a uno, anzi mezzo"!

Come sarà il 2009? Non c’è nessuno - ma per chi ci crede ci sono i soliti oroscopi - che abbia le carte in regola per formulare previsioni attendibili circa il nostro futuro prossimo. Non sappiamo se ci sarà un collasso dell’economia. Non sappiamo se la crisi durerà uno o più anni. Non sappiamo se il prezzo del petrolio salirà o scenderà. Non sappiamo se ci sarà inflazione o deflazione, se l’euro si rafforzerà o si indebolirà. Non sappiamo se gli Usa del nuovo-Presidente saranno diversi da quelli del Presidente-guerrafondaio. Non sappiamo se Istraele e Palestina continueranno a scannarsi per tutta la vita. Non sappiamo nada de nada! La stampa, i politici, i sindacati, tacciono! Stra-parlano soltanto di federalismo, riforma della giustizia, cambiamento della forma dello Stato, grandi temi utopici che vengono quotidianamente gettati ad una stampa famelica di pseudo-notizie, mentre i veri cambiamenti si stanno preparando, silenziosamente, nelle segrete stanze. Comunque, anche se i prossimi anni non ci riservassero scenari drammatici, e la crisi dovesse riassorbirsi nel giro di un paio d’anni, non è detto che l’Italia cambierà davvero sotto la spinta delle tre riforme di cui, peraltro, si fa fino ad oggi solo un gran parlare. Del resto, non ci vuole certo la palla di vetro per intuire che alla fine la riforma presidenzialista non si farà (e se si farà, verrà abrogata dall'ennesimo referendario di turno), mentre per quanto riguarda le altre due riforme - federalismo e giustizia - se si faranno, sarà in modo così... all'italiana che porteranno più svantaggi che vantaggi: dal federalismo è purtroppo lecito aspettarsi solo un aumento della pressione fiscale, perché l’aumento della spesa pubblica appare il solo modo per ottenere il consnenso di tutta "la casta", e poi dalla riforma della giustizia verrà soltanto una "comoda" tutela della privacy al prezzo di un'ulteriore aumento della compra-vendita di politici, amministratori e colletti bianchi. Resta difficile capire, infatti, come la magistratura potrà perseguire i reati contro la pubblica amministrazione se "la casta" la priverà del "fastidioso" strumento delle intercettazioni telefoniche. Così, mentre federalismo, giustizia, presidenzialismo, occuperanno le prime pagine, è probabile che altre riforme e altri problemi, certamente più importanti per la gente comune, incidano assai di più sulla nostra vita. Si pensi alla riforma della scuola e dell’università, a quella degli ammortizzatori sociali, a quella della Pubblica Amministrazione. Si tratta di tre riforme di cui si parla poco, ma che, se andranno in porto, avranno effetti molto più importanti di quelli prodotti dalle riforme cosiddette maggiori. Forse non a caso già oggi istruzione, mercato del lavoro e pubblica amministrazione sono i terreni su cui, sia pure sottobanco, l’opposizione sta collaborando più costruttivamente con il governo. Ma il lato nascosto dei processi politici che ci attendono non si limita alle riforme ingiustamente percepite come minori. Ci sono anche temi oggi sottovalutati ma presumibilmente destinati ad esplodere: il controllo dei flussi migratori, il sovraffollamento delle carceri e l'emergenza salari. Sono problemi di cui si parla relativamente poco non perché siano secondari, ma perché nessuno ha interesse a farlo. Il governo non ha interesse a parlarne perché dovrebbe riconoscere un fallimento: gli sbarchi sono raddoppiati, le carceri stanno scoppiando esattamente come ai tempi dell’indulto e gli stipendi degli italiani sono i più bassi d'europa. L'opposizione non può parlarne perché ormai sa che le sue soluzioni-demagogiche - libertà, tolleranza, integrazione, solidarietà - riscuotono consensi solo nei salotti intellettuali. Eppure è molto probabile che con l’aumento estivo degli sbarchi, le carceri stipate di detenuti, i centri di accoglienza saturi, ed il mondo del lavoro dipendente duramente provato da un caro prezzi che non accenna a deflazionare, il governo si trovi ad affrontare una drammatica emergenza. Intanto, in Italia prosegue la propaganda dell'ottimismo a tutti i costi: stampa, sindacati e politica ci fanno sapere solo ciò che fa più comodo ai loro giochi, e "noi"- a forza di guardare solo dove la politica ci chiede di guardare - rischiamo di farci fottere. Buon Anno!

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