07 febbraio 2009

La lezione di Beppino Englaro e l’orrore del nostro presente.

Di fronte a quanto sta accadendo in queste ore, e di cui riferiamo in altro articolo, si resta storditi, come se improvvisamente fossimo catapultati in un’altra vita, in un altro mondo.

La tentazione di tacere è forte. Per rispetto di un dramma umano, certo, ma anche perché le parole vengono a mancare. E molto apprezzamento va riconosciuto a quei media che già da qualche giorno hanno deciso di sottrarsi alla cronaca minuta di quelle che sembravano le ultime ore di Eluana.
Tuttavia, la realtà ha superato la fantasia e il quadro si è ulteriormente complicato con un’iniziativa del governo che molti non esitano a definire un tentativo di “golpe” e che sicuramente apre un conflitto istituzionale del tutto inedito nella storia del paese.

Dunque, come tacere, se non sentendosi conniventi?
Come, soprattutto, pensando alla battaglia di Beppino Englaro? Che ci parla, a tutti e ad ognuno di noi.
E ci dice che è solo praticando il terreno della legalità e della presa di parola pubblica che si riesce a stanare la cattiva politica e a smascherarne il volto (vorremmo dire il ghigno) autoritario, indifferente ai principi dell’ordinamento e del bene pubblico.

Occorre, in un momento grave del paese, raccogliere questa lezione, seguirne l’esempio.
Uscire dalle case e dai propri particolari, fare di ogni ingiustizia privata un fatto pubblico, parlare e manifestare.
Questo paese non è il suo governo.
Ne sono esempio i tanti appelli, le stesse divergenze nel mondo politico, il popolo di internet che grida contro questo sopruso.

Ne è esemplare espressione la Magistratura, di ogni ordine e grado, che pur soggetta a pesanti pressioni ha riaffermato i principi di diritto, quella stessa Magistratura contro cui è diretta l’iniziativa governativa al solo fine, non solo di compiacere le autorità vaticane, ma anche di dimostrare che le sentenze non valgono nulla, possono essere messe nel nulla.

Ne è esemplare espressione la comunità scientifica che non da oggi si è pronunciata in materia di alimentazione e idratazione artificiale, e la comunità medica che oggi dichiara che disubbidirà all’obbligo di denunciare i clandestini.

Tutto questo accade dopo anni di colpevole latitanza sul piano legislativo da parte di tutte le forze parlamentari e tutti i governi, e ricade vergognosamente sulla vita di un uomo e di una famiglia troppo perbene per questa classe politica.

E’ ora di dire basta. Mai la politica è stata così distante dal paese. Rendiamolo evidente. Con Beppino Englaro, per Eluana. Fin da domani.

Nicoletta Morandi

06 dicembre 2008

Tagli alla scuola, si ai vescovi e no agli studenti

Quella della scuola è una galassia piuttosto articolata, ma non impossibile da comprendere. Esiste la scuola dello Stato e quella che non lo è. Quest'ultima, la scuola non statale, si divide in due grandi gruppi: quella pubblica e quella privata. Queste, e siamo alla fine della spiegazione, possono essere paritarie e non paritarie. Le prime prendono parte alla spartizione del circa mezzo miliardo di euro che lo Stato conferisce in base ad una legge del 2000, le seconde vanno avanti con i loro soldi.

E sufficiente che una scuola non statale sia gestita da un ente locale o pubblico, come i comuni, le province o le regioni, per entrare nella categoria degli istituti pubblici. Infine, per vedere riconosciuto lo status di scuola paritaria, il gestore, che può essere anche un privato, avanza richiesta all'ufficio scolastico regionale. A questo punto può partecipare alla spartizione dei fondi che la legge mette a disposizione.

In Italia l'88% delle scuole private sono paritarie, cioè equiparate alle scuole statali. Più della metà di queste sono gestite da enti religiosi, ovviamente cattolici. La montagna di denaro pubblico che ogni anno entra nelle casse della scuola paritaria cattolica ammonta a circa 280 milioni di euro, oltre 540 miliardi di vecchie lire.

Con i tagli al mondo dell'istruzione, il governo Berlusconi, aveva inserito in bilancio un taglio alle scuole paritarie di 134 milioni, su un totale di 480 milioni.

Gli eventi che hanno preceduto l'approvazione del decreto Gelmini sono noti: migliaia di studenti e insegnanti in piazza; dichiarazioni contrarie di rettori e presidi di facoltà; pestaggi fascisti e minacce televisive del Premier. Insomma il mondo dell'istruzione, unito e compatto, a difesa della scuola pubblica, quella dello Stato laico. Risultato zero.

Negli anni a venire, ricorderemo sempre il silenzio opaco e disprezzante della Gelmini, come l'ha definito la Finocchiaro, nei confronti delle ragioni degli altri.

La Chiesa, invece, efficace come sempre nell'assicurare il proprio tornaconto, ha inizialmente taciuto. D'altra parte, in quel frastuono di protesta studentesca, ben difficilmente avrebbe avuto l'attenzione necessaria per far ascoltare le proprie ragioni. Ma una volta sopita la rivolta laica, non ha esitato a portare a fondo il suo attacco alla finanziaria che taglia i fondi anche alle scuole cattoliche.

Ieri la Cei, con le parole di Bruno Stenco, monsignore e direttore dell'ufficio nazionale per l'educazione della Conferenza Episcopale Italiana, annuncia: "le federazioni delle scuole cattoliche si mobiliteranno in tutto il Paese". Il taglio dei 120 milioni di euro per le scuole paritarie previsto da Tremonti, alla Chiesa non va proprio giù. "noi non ci aspettavamo nessun taglio, ma al contrario degli incrementi, mettere le scuole paritarie nel capitolo degli sprechi da tagliare è inconcepibile", argomenta Stenco lasciando intendere che, in molti istituti, suore e preti avrebbero raccolto firme contro il governo.

L'attacco è frontale e ben coordinato. Anche il Papa scende in campo auspicando "l'adozione di misure a favore dei genitori che li aiutino nel loro diritto inalienabile di educare i figli secondo le proprie convinzioni etiche e religiose".

Trascorrono solo una manciata di ore ed ecco che il Governo annuncia la sua ritirata: "C'è un emendamento del relatore al disegno di legge di bilancio che stanzia 120 milioni per il 2009, mentre il taglio originario era di circa 134 milioni" dichiara Giuseppe Vegas, sottosegretario all'Economia.

Una totale disfatta, consumata nello spazio temporale di una mattinata. Alla Chiesa è bastato poco, pochissimo, per ricondurre il Governo Berlusconi sulla retta via.

Quasi un'alzata di sopracciglio a manifestazione di una contrarietà, di un fastidio. Poche parole, al tempo e nel modo giusto, ed ecco che il Premier, quello che minacciava in televisione l'uso della polizia contro gli studenti, batte in ritirata.

Gli studenti, quelli della scuola pubblica, laica, dello Stato, quelli scesi in piazza, malmenati ed ignorati, si tengono i tagli, ma avranno la Gelmini su You Tube.

E Berlusconi, quello che non sapeva della cena che ha escluso la CGIL, che non era a conoscenza dell'aumento dell'Iva a Sky, sua concorrente nel mercato dei media, questa, invece, la saprà o no?

MAURO DAVID
Vita di Donna Community

23 ottobre 2008

Ragazzi contro... benvenuti!

A migliaia manifestano la loro esistenza nel modo più democratico possibile: la piazza.

di MAURO DAVID

Scuola, GelminiLi credevamo addormentati o, peggio ancora, annichiliti su un’esistenza vuota, priva d’ideali, svuotati di quella voglia di essere, di fare e di cambiare che da sempre contraddistingue il lato evoluto della specie umana. D’altra parte come darci torto? Vederli lì sul divano a divorare ore di Grande Fratello o, peggio ancora di Amici, ha frustrato ogni speranza. Constatare nei nostri figli lo stato di totale isolamento intellettuale e il disinteresse verso i fatti della vita ci ha resi isterici.

Si perché noi, 50 e 60enni, il mondo lo abbiamo cambiato davvero, e a dispetto di chi denigra e gode allo stesso tempo dei frutti di quella stagione di profonde mutazioni, lo abbiamo cambiato in meglio. Nelle fabbriche, nelle scuole, nella sanità. Eravamo giovani, presuntuosi , supponenti, fieri contestatori di ogni ordine costituito sulle diseguaglianze. Giovani contro, a volte antipatici, ma contro le Mutue di serie A e di serie B, contro le scuole riservate ai ricchi, contro lo sfruttamento degli operai, insomma... contro.

Si, certo, da qualche anno abbiamo iniziato ad innervosirci; la percezione che i nostri coetanei avessero dimenticato “com’era prima”, ci rattristava. Soprattutto quando tra gli smemorati riconoscevi quelli che avevano vissuto quella lunga e appassionata stagione. Le 150 ore per i lavoratori studenti, le opportunità offerte ai figli dei nostri emigranti affinché anche loro potessero partecipare al torneo dell’esistenza come giocatori effettivi, e non come raccattapalle; chi conservava la memoria di tutto questo?

Oggi i nostri ragazzi sono lì, in prima fila. A migliaia manifestano la loro esistenza nel modo più democratico possibile: lamanifestazione_scuola.jpg piazza. Scrivono al Presidente della Repubblica affinché difenda il principio stesso della scuola pubblica, fanno lezione nelle strade. Non indossano la kefiah, non ci sono bandiere rosse o foto del Che, simboli di un’illusione ormai archiviata. Ma non importa, anche se griffati sono lì, esistono. E non sono i soliti centri sociali, come la destra primitiva di questo paese sostiene. La maggioranza dei ragazzi per la prima volta assapora l’entusiasmo per la costruzione del proprio futuro, la condivisione di valori, l’uscita dalla solitudine. Che sollievo! Loro difendono e miglioreranno quello che noi abbiamo messo insieme.

E’ notizia di oggi, l’Italia è al top della classifica dei paesi con maggiore disuguaglianza (OCSE). Il 10% degli italiani ha in tasca il 42% della ricchezza nazionale; al 90% della popolazione non resta che spartire quello che resta (Banca d’Italia). La divisione tra poveri e ricchi è sempre più marcata, il ceto medio sta scomparendo perché risucchiato dagli inferi del disagio economico.

Senza uguaglianza, in una società complessa non c’è futuro, ma conflitto. Non c’è evoluzione e civiltà in una comunità se i membri che la compongono, tutti, nessuno escluso, non migliorano la propria condizione intellettuale. Solo la scuola pubblica può assicurare un simile risultato. E’ scritto su tutti i libri di storia, quelli letti dai nostri ragazzi. Alla signora Gelmini, forse non più fresca di studi, gioverebbe un ripassino.

L’istruzione è l’ingrediente base del benessere sociale, alla scuola non si devono sottrarre risorse, semmai vanno aggiunte, sempre e comunque. Benessere diffuso e opportunità equamente distribuite, questo è lo scopo dello Stato. Integrare, istruire, sostenere chi non ce la fa’; questo è invece il compito della scuola pubblica, che non è certo quello di selezionare con i sette in condotta. Abbiamo un bisogno disperato di tutto questo, i nostri ragazzi l’hanno capito, ma chi ha in mano le redini del loro futuro sembra perseguire altri obiettivi.

Forse i nostri padri, usciti dall’esperienza del fascismo, della guerra e della Resistenza, seppur da noi stessi contestati, ci guardavano con un senso di ammirazione e compiacimento per quel nostro agire in difesa dei valori universali introdotti dalla Rivoluzione Francese. Ci piace pensarlo.

Oggi come allora, guardiamo i nostri figli difendere ciò che abbiamo di più caro: il sistema di diritti che abbiamo costruito. Spesso critichiamo e mal sopportiamo le loro scelte, ma ora li amiamo e li apprezziamo per questo impegno.

Lasciate che ci culliamo in questa fantasia, in questa similitudine di eventi e di emozioni.

13 ottobre 2008

Alitalia, le domande di un pilota

Ieri sera è andata in onda su Rai 3 la puntata di Report dedicata alla vicenda Alitalia. Il merito più evidente della Gabanelli è stato quello di far emergere quanto l’accordo raggiunto sia gracile, condizionato da scelte che ancora debbono essere prese, in particolare in sede europea.

Riceviamo e pubblichiamo il contributo di uno dei “protagonisti involontari”.

Ci si è mai chiesti che cosa c'entra Airone con la Privatizzazione dell'Alitalia il cui azionista di maggioranza è ancora il Tesoro?

Perché i cittadini (azionisti di maggioranza perché il Ministero del Tesoro mi pare essere ancora dei cittadini) devono accollarsi anche i debiti di Airone azienda a capitale totalmente privato oltre che quelli di Alitalia?

Perché mai nessuno durante i giorni "caldi" della vicenda ha mai fatto menzione delle condizioni finanziarie di Airone che entrava nel "calderone" CAI?

Perché la maggior parte degli aeroplani fermati appartiene alla flotta Alitalia e non ad Airone?

Pensate forse che una compagnia ridimensionata nei voli di lungo raggio tale da diventare un vettore nazionale ed europeo possa facilmente competere con i vettori low cost?

Avete mai controllato in quali stati sono registrate le sedi delle aziende di molti degli imprenditori che devono difendere l'italianità dell'Alitalia?

Qualcuno si è mai occupato dei crediti che Banca intesa (Advisor scelto dal Governo per la privatizzazione di Alitalia) ha nei confronti del gruppo Airone?

Non vi sembra un po' pretestuosa la campagna mediatica orientata quasi esclusivamente sulla categoria dei piloti e dei suoi privilegi (gradirei sapere quali) e della loro bassa produttività?

Quanti sanno che il mio contratto pone come limite massimo di impiego 17 ore continuative che in casi eccezionali possono arrivare a 19?

Con tali limiti come si può parlare ancora di aumento di produttività?

Quale categoria di lavoratori può fare tale turno?

Il mio contratto prevede 35 riposi a trimestre che fanno circa 11 giorni e mezzo al mese. Certo non sono gli otto o 10 al mese (week end) dei normali lavoratori, ma quando sono fuori per lavoro non ci sono 24 ore su 24. Se sono dall'altra parte del mondo e mia moglie o mio figlio si sente male pensate che io possa alzarmi uscire dall'ufficio e correre a casa?

Quanti sanno che ogni sei mesi, fino ad un giorno prima della pensione, devo fare un controllo per testare il mio livello di preparazione pratica e teorica al simulatore di volo?

Quanti sanno che se non lo passo non posso volare e che se non lo passo per due volte consecutive giustamente vengo licenziato?

Quante categorie di lavoratori al mondo si sottopongono (per legge) a questi controlli?

Quanti sanno che il numero di equipaggi per aeroplano che chiedeva Air France, i cui piloti si è sempre sbandierato ai quattro venti fanno più ore di volo di quelli Alitalia, era maggiore di quelli chiesti da CAI?

Air France veniva forse a fare beneficenza facendoci volare meno dei suoi piloti?

Come è possibile che Air France, pagando i suoi piloti circa il 30% in più di Alitalia, lo scorso anno è stata la compagnia aerea che ha fatto più utili al mondo?

Qualcuno, in questi giorni, ha mai parlato di quali voci del bilancio Alitalia sono le principali responsabili dei forti passivi e quindi di conseguenza quale la criticità nella quale intervenire in un eventuale piano di rilancio?

Pensate forse che i piloti, selezionati professionalmente e psicologicamente, per farsi carico della responsabilità della vita di centinaia di persone, fossero proprio così stolti capricciosi e viziati da voler affondare un patrimonio dell'Italia e degli italiani e soprattutto rischiare di perdere il proprio lavoro perché non volevano rinunciare a questi "famosi" privilegi di cui tanto si parla?

Pensate che con moglie (senza reddito) un figlio, uno in arrivo ed un mutuo da pagare per altri 16 anni mi possa permettere di dire no a tutta questa operazione della CAI solamente per un semplice capriccio?

Alla luce di queste domande, e ce ne sarebbero altre decine, lo slogan usato dai dipendenti e tanto strumentalizzato come segno di irresponsabilità "meglio falliti che in mano a 'sti banditi", è proprio così sbagliato o potrebbe avere un fondamento?

Forse se si prova a dare risposta a queste domande magari si esce fuori da questo tunnel cognitivo nel quale l'opinione pubblica e i media si sono infilati.

Roberto Giovannetti (Pilota Alitalia)

12 ottobre 2008

Crisi dei mercati, una storia di formiche e cicale

In passato il risparmio finanziava attività concrete, aziende, produzione e posti di lavoro, oggi s’investe sul nulla, sull’andamento di un tasso d’interesse o sui debiti della gente

di MAURO DAVID

SUV Prima c’era la Banca, il santuario deputato alla raccolta dei risparmi. Gli italiani, tradizionalmente risparmiosi, vi si recavano a depositare il prodotto delle piccole economie mensili, spesso intimoriti dal silenzioso lusso delle grandi sedi.

Mi riferisco al decennio a cavallo tra il ’75 e l’85, periodo in cui il sistema bancario svolgeva ancora prevalentemente la sana funzione di intermediazione, convogliando il risparmio raccolto verso le attività produttive di questo paese.

Pochi gli strumenti messi a disposizione del risparmiatore: libretto di risparmio, titoli di stato, obbligazioni dei grandi enti; al massimo qualche “pronti contro termine” per i clienti più facoltosi.

Insomma, un paradiso di certezze e di stabilità: il risparmio delle famiglie contribuiva alla crescita del sistema industriale finanziando le iniziative imprenditoriali, mentre la Banca d’Italia sorvegliava rigidamente sugli equilibri impedendo ogni forma di espansione territoriale. Vacche grasse per i banchieri, che prosperavano, al riparo da ogni concorrenza, nelle cristallizzate rendite di posizione e tempi d’oro per i bancari. Quest’ultimi, avvantaggiati dalla “scala mobile anomala” che gonfiava la busta paga, rappresentavano la categoria più invidiata; nessun budget da raggiungere, poco stress e poche le competenze professionali richieste, per lo più contabili-esecutive.

Prima c’era la Banca, poi giunse in Italia la concorrenza.

Nel 1975 la Banca d’Italia varò la sua politica di liberalizzazione. Con il terzo Piano Sportelli la rete distributiva del sistema bancario italiano si ampliò di oltre il 45% (tra il 1990 e il 1995). Non passò molto tempo che anche le banche straniere fecero il loro ingresso in Italia.

Rapidamente la competizione divenne rovente. Nelle strutture centrali nacquero uffici specializzati nello studio e nella vendita di nuovi prodotti. Lentamente il marketing, termine ricorrente nell’industria, iniziò ad insinuarsi anche in banca.

Era sul finire degli anni ’80 e ricordo ancora il mio amico Maurizio Buonomo, responsabile marketing dell’Associazione Bancaria Italiana, prodigarsi per fornire alle associate gli strumenti necessari ad affrontare il nuovo corso; seminari, convegni, pubblicazioni.

Chi, come il sottoscritto, si occupava di comunicazione aziendale fu costretto a correre ai ripari progettando inediti interventi di formazione del personale (altra attività sconosciuta in banca): orientamento al cliente, psicologia di vendita, prodotti e servizi…. tutto all’ombra del grande guru americano Philip Kotler, pioniere del marketing sociale.

Un periodo denso di cambiamenti in cui anche il lessico utilizzato subì le sue trasformazioni: l’utente bancario divenne “cliente”, mentre l’impiegato si trasformò in una “risorsa umana”. Il lavoro svolto in termini di comunicazione, affinché la risorsa umana abbandonasse la tradizionale cultura della “quadratura di cassa”, per assurgere al ruolo più nobile di facilitatore della soddisfazione dei bisogni del cliente, è testimoniato dai programmi di formazione che giacciono nei polverosi archivi delle banche.

La fidelizzazione del cliente era lo scopo autentico e sincero, ma il raggiungimento di questo traguardo era subordinato alla capacità dell’operatore bancario di individuare e dare soddisfazione ai bisogni concreti del suo interlocutore; la manipolazione dell’informazione, finalizzata alla vendita, era bandita dai nostri interventi. E non solo per un atteggiamento etico, ma anche perché fermamente convinti che un cliente “fregato” non sarebbe stato un cliente fedele.

Oggi la storia è diversa. Il panorama dei prodotti è vasto e a volte sconosciuto all’operatore bancario che ne possiede solo una conoscenza superficiale. E’ così che il risparmiatore si trova ad investire, direttamente o indirettamente, in futures, in financial futures, in currency futures, derivati, ecc.

Cosa sono? Il cliente sa in cosa mette i suoi soldi? Si, certo… ci sono i prospetti informativi che vanno consegnati prima della firma del contratto, ma quanti hanno le competenze per comprendere le informazioni fornite?

Ma la storia è diversa anche per l’atteggiamento delle banche. Azionisti ossessionati dal guadagno, personale non sufficientemente formato, al limite del collasso psico-fisico per gli ambiziosi obiettivi di vendita che vengono assegnati. Risorse umane confuse tra pressioni, minacce e premi d’incentivazione. Ho assistito a corsi di formazione di Team Building in cui venivano proposte esperienze di fachirismo, stendersi sui vetri o camminare sul fuoco; ho visto gli occhi spiritati di chi accettava di cimentarsi in quelle attività estreme. Rari casi di formazione delle risorse umane? Probabilmente si, ma esiste anche questo.

Questa mattina ho ascoltato alla radio l’intervento di una dipendente di banca che manifestava la sua preoccupazione per l’incontro imminente con alcuni clienti: “hanno perso tutto, adesso cosa gli dico?”. Come farà a spiegare che li ha indotti ad investire su di una famiglia americana, economicamente malandata e priva di assistenza sanitaria? Una scommessa.

Negli anni la formica diventa cicala. Si, perché se in passato il risparmio finanziava attività concrete, aziende, produzione e posti di lavoro, oggi s’investe sul nulla, sull’andamento di un tasso d’interesse o sui debiti della gente; il private banking è ormai un’attività da “sala bingo” in cui l’avidità detta le sue leggi. Regole peraltro condivise da tutti i giocatori: dal venditore che, pur di raggiungere il budget, camminerebbe sulle braci; dall’investitore che disprezza la sicurezza dei BOT per abbracciare l’effimera promessa di un guadagno maggiore.

Chi è più mariuolo? Chi cerca un Rolex autentico ad un prezzo da bancarella o chi rifila la patacca?

Prima c'era la banca, poi la concorrenza ed infine la TV berlusconiana

Il Papa ha detto: “I soldi scompaiono, solo la parola di Dio è solida”. Se sostituiamo la parola “Dio” con “etica dell’esistenza” e “senso della realtà”, per una volta, sono d’accordo con lui. La formica diventa cicala quando è sistematicamente influenzata dai media che propongono modelli esistenziali riprovevoli, sia sul piano etico che su quello “pratico”. Troppa passerella di gente insignificante, priva dello spessore e delle autentiche competenze legate al fare, al costruire. Troppi guadagni facili esibiti.

Riferendoci all’industria dell’intrattenimento, quanto costa alla Rai la realizzazione di una serie dell’Isola dei Famosi? Isola dei famosi Qualche milione di euro per esibire al grande pubblico il lati nevrotici di ex famosi in bancarotta o in cerca di una nuova visibilità; il vuoto, il nulla. Tra un’isterica crisi di pianto e una discussione mediocre, irrompe la pubblicità che invita all’acquisto del SUV potente e aggressivo: compra oggi e paghi domani in comode rate. Si torna sull’Isola, corpi seminudi tenuti insieme da costose protesi al silicone, altre manifestazioni di primitività, altro spot pubblicitario in cui il faccione sorridente di Berlusconi promette ricchezza e libertà.

Pessimo intervento educativo, è così che la formica diventa cicala. La famiglia con un reddito da 2/3 mila euro al mese, una volta risparmiatrice e con i “piedi per terra”, ora va in giro con il SUV e disprezza i BOT (non sono a la page); si crede benestante. La cicala moderna ha appoggiato il taglio dell’ICI anche per i ricchi, ma non è ricca. E’ favorevole alla scuola privata pensando di rincorrere l’eccellenza, ma ignora che probabilmente finirà tra le mani incompetenti di qualche “suorina”. Senza il gettito ICI, Alemanno ha sospeso i finanziamenti ad alcune scuole professionali, parliamo di parrucchieri.

Ora la cicala non sa come pagare le rate, è spaventata dalla crisi finanziaria, non ha nemmeno la possibilità d’imparare il mestiere di parrucchiere, e presto sarà confusa perché non saprà nemmeno in quale classe sociale riconoscersi. Ma niente paura, ci penseranno la Social Card di Tremonti, la sanità e la scuola per i poveri ad indicare il posto assegnato.

Le borse crollano, Berlusconi compra una nuova villa sul lago, l’impiegata di banca non sa cosa dire ai suoi clienti. Forse e solo l’inizio, per giunta…

Come usare questo blog