Istat: sempre più “normale” la "medicalizzazione" della gravidanza
Sono soprattutto le donne del sud a scegliere questa strada: il 45,4% secondo i dati raccolti che evidenziano anche come le donne in gravidanza abbiano un buon livello di assistenza durante la gestazione.
Le informazioni raccolte sui temi della gravidanza, del parto e dell'allattamento al seno si riferiscono all'ultimo figlio che le donne hanno avuto nei cinque anni precedenti la rilevazione e riguardano 2 milioni e 736mila donne.Con il 35,2% di nascite con parto cesareo nel 2004-2005, l'Italia conferma dunque il titolo di primo paese europeo per ricorso a tale intervento: una scelta non sempre motivata dalle condizioni di salute di madre e feto, ma piuttosto indice di una eccessiva medicalizzazione dell'evento 'nascita’.
Contro tale trend la ministra della salute, Livia Turco, ha già annunciato delle contro-misure. Contrastare il 'ricorso eccessivo' al parto cesareo, ha infatti di recente rilevato Turco, è uno degli obiettivi del disegno di legge annunciato dal presidente del Consiglio, Romano Prodi, per il sostegno al parto sicuro, senza dolore e naturale. Lo stesso provvedimento, ha sottolineato Turco, “detterà indicazioni precise per lavorare insieme alle Regioni per contrastare il ricorso eccessivo al parto cesareo, poichè ridurre l'inappropriatezza vuol dire anche eliminare spese sbagliate che tolgono risorse alla buona sanità”.
Stop ai cesarei non necessari e alla eccessiva medicalizzazione della gravidanza, dunque, è la linea del dicastero della salute, mentre dall'indagine dell'Istituto nazionale di statistica arrivano anche altri indicatori, fortunatamente positivi: migliora l'assistenza alle gestanti, è forte la presenza dei padri in sala parto (pur con un notevole divario tra nord e sud del paese) e cresce la durata dell'allattamento al seno.
Un altro dato riguarda i troppi controlli, non sempre necessari, in gravidanza: mentre il protocollo nazionale raccomanda infatti al massimo 3 ecografie in caso di gravidanze fisiologiche, ben il 78,8% delle donne ha fatto oltre 3 ecografie (erano il 75,3% nel 1999-2000) ed aumenta anche la percentuale di gestanti che ha fatto oltre 7 ecografie (29% contro il 23,8%). Anche la percentuale di donne che ha effettuato 7 o più visite aumenta dal 52,7% (2000) al 56,5% (2005). Una eccessiva medicalizzazione si riscontra soprattutto tra le gestanti seguite da ginecologi privati (81,7%) e tra quelle del sud e isole (32,4% e 34,4%).
Dai dati Istat risulta che si mantiene stabile, rispetto al 2000, la quota di donne che ha allattato al seno il proprio bambino (81,1%), cresce la durata media del periodo di allattamento (da 6,2 a 7,3 mesi).
L'Italia insulare si distingue per la più bassa percentuale di donne che allatta (74,2%), mentre nel nord-est è la quota più elevata (86,1%). Allattano di più le donne con un titolo di studio più alto (86,4%) rispetto alle meno istruite (76,1%).
Le donne in Italia, inoltre, godono di un 'buon livello' di assistenza in gravidanza ed è costante, rispetto al 2000, la presenza dei papà in sala parto (66,1%), minore al sud (31,1%) per una minore disponibilità da parte delle strutture del territorio.
Ma i tanti, troppi, parti cesarei in Italia non hanno nulla a che vedere con le donne. Nè tanto meno con quell'evento particolare, ma naturale, che è la nascita di un figlio: ne sono convinte alcune organizzazioni femminili e familiari che commentando i dati dell'Istat sulla crescita del numero di cesarei imputano il record nazionale per lo più ad un malcostume sanitario.
“È una cosa mostruosa - afferma Pina Nuzzo, presidente dell'Udi (Unione donne in Italia) - forzare i tempi del corpo e del parto. È ormai noto che le donne vengono fatte partorire secondo le necessità dei medici e del sistema ospedaliero, senza invece tenere conto delle necessità fisiologiche della donna e del bambino. Basta guardare quanti parti ci sono nel fine settimana”. È ovvio che “il parto va guidato ed assistito ma senza forzare i suoi tempi. Il parto è un evento naturale da rispettare nei tempi e nei modi. Il parto e la gravidanza sono così medicalizzate che è stata tolta loro anche la sacralità di fare figli”. “Dubito che il cesareo sia una scelta della donna”, sostiene Valeria Ajovalasit, presidente di Arcidonna, per la quale “spesso ci sono ginecologi che ricorrono al taglio cesareo perchè si sentono più sicuri, per evitare rischi e difficoltà”.
Dello stesso avviso Maria Rita Munizzi, presidente del Moige (Movimento italiano genitori) che imputa l'alto numero di cesarei ad un '”eccesso di prudenza dei medici. Si fanno pochi bambini e i medici non vogliono rischiare in alcun modo. Si preferisce far nascere in modo assolutamente sicuro”. Munizzi, anche lei medica (è geriatra), non esclude però che ci sia una “certa leggerezza nel valutare le indicazioni cliniche del cesareo”, in particolare il ‘destino’ delle donne nei parti successivi al primo quando si è fatto un cesareo. “Io stessa sono stata coinvolta personalmente, avendo avuto nella prima gravidanza due gemelli partoriti col cesareo e poi altri tre figli naturalmente. È considerata una follia ma non è cosi.
Oggi, è possibile valutare il rischio, ad esempio col controllo ecografico dell'utero durante il travaglio, senza dire a priori che si è condannati al cesareo perchè fatto in precedenza. Questo è un pregiudizio”. Per la presidente del Moige, fra l'altro, “la donna subisce e si affida ai consigli che dà il medico. Noi siamo a favore del parto naturale intanto perchè lo dice il nome, è naturale, la donna si ristabilisce subito e poi perchè il cesareo è un vero e proprio intervento chirurgico”. Per Telefono Rosa, il record dei parti ha la sua origine nel contrasto al dolore. “Non sono medico - dice Gabriella Carnieri Moscatelli, presidente di Telefono Rosa - ma non posso pensare che le nostre donne sono così diverse dalle donne di altri paesi.
Credo che il cesareo sia un'alternativa ai dolori del parto. Il ricorso all'epidurale, come ha fra l'altro proposto giustamente il ministro della salute, potrà modificare questo atteggiamento. In questo modo, sarà ridotta la sofferenza ed anche le spese a carico del sistema sanitario”.
(Delt@ Anno IV, n. 123 del 6 giugno 2006)
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